Domenico
Felaco IK6QGE
domenico.ikseiqge@tiscali.it
Zone
radioamatoriali e aree linguistiche
Che
lingua parlano i radioamatori con la “I” nel prefisso?
La
dialettologia
Abbiamo
già notato, in un precedente articolo, che il sistema dei fonemi
appresi con la lingua madre può condizionare la pronuncia
dell'inglese parlato dai radioamatori, tanto che quasi sempre è
facile capire la nazionalità di chi trasmette in un determinato
momento, anche prescindendo dal prefisso del nominativo.
Qualcosa
di simile capita anche durante i QSO nazionali quando, sulla base
delle tracce che i vari dialetti possono lasciare sull'italiano standard
parlato dai radioamatori, si riesce a collocare
l'interlocutore in un'area linguistica del Paese, in una particolare
regione o, addirittura, in una specifica zona dialettale.
Lo
studio dei fenomeni di questo tipo compete alla dialettologia,
che “è il ramo della linguistica che si occupa dei dialetti, delle
loro caratteristiche individuali e dei loro rapporti con altri
dialetti della stessa area o con altri sistemi linguistici
geneticamente affini.” (1)
I
linguisti che studiano i dialetti devono esplorare i vari territori e
registrare gli idiomi che vi si parlano. Noi radioamatori, invece,
possiamo semplicemente sintonizzarci sulle nostre frequenze, usare i
numeri contenuti nei nominativi per determinare la zona da cui un
operatore trasmette e approfondire, senza spostarci dalla stazione,
le nostre conoscenze sulle varianti della lingua italiana parlate
nell'attività radioamatoriale.
L'italiano standard
Nei
QSO nazionali i radioamatori con la “I” nel prefisso possono
parlare, a seconda delle circostanze e dei rapporti con
l'interlocutore, uno dei seguenti idiomi:
-
l'italiano standard,
che è la lingua che si apprende a scuola e che di norma è considerata, per motivi
storici, politici, sociali ed economici, più prestigiosa dei dialetti e
delle varianti regionali della lingua italiana;
-
l'italiano regionale, che è
una variante dell'italiano standard che risente, specialmente
sul piano della fonetica e dell'andamento tonale, dell'influenza del
dialetto appreso dal parlante;
-
il dialetto, che è una
varietà linguistica parlata dagli abitanti di una specifica area
geografica e che caratterizza, con altri dialetti che presentano tratti
comuni, una delle aree linguistiche di cui parleremo in seguito.
L'Italiano standard non
appartiene ad alcun territorio, neanche alla
Toscana, anche se, naturalmente, prende le mosse dal dialetto
fiorentino del Trecento e codifica gli aspetti morfologici,
sintattici e lessicali che si sono imposti nel corso dei secoli.
Si
tratta, in realtà, della trasposizione alla lingua parlata di un
idioma creato e sviluppato come strumento per la comunicazione
scritta. Gli italiani hanno cominciato ad apprenderlo, per la maggior
parte, con la scolarizzazione di massa del secolo scorso, come fosse
una lingua straniera perché “quando una comunità linguistica,
fino ad allora illetterata, fa conoscenza con la scrittura, la
scrittura è al servizio di un'altra lingua...”. (2)
L'approccio
scolastico all'apprendimento dell'italiano standard ne ha
trascurato completamente la struttura fonetica che, per quanto
teoricamente ben definita e insegnata nelle scuole di dizione per
attori, cantanti e speaker radiofonici e televisivi, resta un
mistero per la maggior parte degli italiani.
Infatti,
tranne nei casi particolari citati, a nessun livello dei vari corsi
di studio si insegna la dizione della lingua italiana e, anzi,
spesso insegnanti carismatici trasmettono la loro variante
linguistica regionale insieme alle nozioni della loro materia.
Ne
consegue che la stragrande maggioranza degli italiani parla una
lingua standard che risulta abbastanza omogenea sul piano
morfologico e lessicale ma che risente spesso pesantemente
dell'influenza dei tratti fonetici dei dialetti parlati localmente.
Sulla
base di tali varianti, è molto probabile che un radioamatore che
prende la parola in un QSO sia collocabile, se non proprio in una
specifica zona dialettale, almeno in una delle aree linguistiche
evidenziate nella cartina n. 1 realizzata, al fine di evitare
eventuali problemi con la proprietà delle immagini, usando una
vecchia copertina di Radio Rivista a cui son state sovrapposte le
aree linguistiche così come sono proposte dall'Enciclopedia
Treccani. (3)
Le
aree linguistiche italiane
Trascurando,
per brevità, le zone di confine in cui si parlano vere e proprie
lingue straniere, dalla cartina si rileva come i
radioamatori delle zone 1, 2, 4 e parte della zona N3 appartengono
all'area linguistica galloitalica,
quelli
della zona 3
all'area linguistica veneta
e quelli della zona V3 all'area linguistica friulana.
La
linea ideale La Spezia-Rimini segna il confine tra i gruppi di
dialetti settentrionali e quelli della zona mediana e della Toscana.
I
radioamatori della zona 5 appartengono all'area linguistica toscana,
una parte di quelli della zona 0 (Lazio settentrionale, Umbria) e una
parte di quelli della zona 6 (Marche settentrionali) all'area
linguistica mediana.
Un'altra
linea ideale, quella che unisce Roma ad Ancona, segna il confine tra
i gruppi di dialetti mediani e quelli meridionali.
I
radioamatori della zona 0, limitatamente al Lazio meridionale, una
parte di quelli della zona 6 (Marche meridionali e Abruzzo) e
quelli delle zone 7 e 8 appartengono all'area linguistica meridionale,
quelli delle punte estreme di Calabria e Puglia e quelli della zona
T9 all'area linguistica meridionale
estrema
e quelli della
zona S0 all'area linguistica sarda.
Naturalmente,
i confini tra le aree linguistiche non sono mai così netti come i
confini tra le zone radioamatoriali. Le linee di demarcazione
tracciate sulla cartina, pertanto, sono piuttosto approssimative,
anche se sono state evidenziate alcune aree linguistiche non
corrispondenti alle regioni, specialmente nel Lazio, nelle Marche, in
Abruzzo, in Calabria, nella Puglia e nel Trentino Alto Adige..
Ogni
area linguistica comprende delle varianti regionali della lingua
nazionale e dei dialetti che possono essere molto diversi tra di loro
ma che hanno tratti linguistici comuni che risultano, per molti
aspetti, in opposizione a quelli delle altre aree.
La
descrizione delle peculiarità fonetiche, morfologiche e lessicali
delle aree linguistiche citate andrebbe ben oltre gli scopi di questo
articolo. Vogliamo, però, ricordare almeno il complesso fenomeno
della metafonesi che è “la alterazione del timbro di una
vocale interna della parola volta a renderlo meno distante o
addirittura a identificarlo con quello della vocale finale”. (4)
Sembra
che i parlanti dei dialetti in via di formazione percepissero la
tendenza al livellamento delle vocali finali atone in [ә] nell'area
meridionale e addirittura la tendenza alla caduta delle stesse vocali
nelle aree settentrionali.
Poiché
il livellamento o la caduta di tali vocali avrebbe comportato
l'impossibilità di distinguere il genere e il numero delle parole,
la funzione distintiva si spostava a una sillaba precedente,
considerata più resistente.
Per
esempio, nel dialetto barese QUESTO
si dice ['kistә] e poiché la vocale livellata [ә] resta invariata,
il femminile QUESTA
si forma modificando la sillaba precedente in ['kɛstә].
Nel genovese, CANE
si dice [kan] e, mancando la vocale finale che potrebbe indicare il
plurale, CANI
si dice [ken]. (5)
Per
tutto quanto detto sopra sembrano chiarite le ragioni per cui,
indipendentemente dal livello culturale di un radioamatore che prende
la parola in un QSO, è quasi sempre possibile definire l'area in cui
la sua formazione linguistica si è realizzata. Resta da approfondire
l'eventuale influenza che le varianti regionali dell'italiano possono
avere sulla comunicazione tra interlocutori di diverse aree
linguistiche e, quindi, anche tra operatori di diverse zone
radioamatoriali.
Si
tratta, in definitiva, di occuparsi brevemente della percezione del
prestigio di un idioma, considerando che “...
il termine dialetto
usato per l'Italia, la Germania e altri paesi europei implica
correntemente un giudizio di valore”. (6)
Il
prestigio di una lingua o di un dialetto
Quanto
più un'area del mondo è forte economicamente, militarmente,
scientificamente e culturalmente, tanto più prestigiosa è la lingua
o il dialetto parlato dagli abitanti di quella zona.
Il
criterio oggettivo della forza di un territorio, dunque, conferisce
prestigio a una lingua o, nel caso che c'interessa, a un dialetto.
Esiste
un altro processo, innescato da valutazioni soggettive, attraverso il
quale gruppi di individui sono portati ad attribuire un maggior
prestigio a una lingua o a un dialetto ritenendoli strumenti utili
per enfatizzare l'appartenenza del parlante a un ceto sociale, a una
categoria professionale, a un gruppo etnico o, più in generale, a
una particolare area geografica.
Nell'attività
radioamatoriale, per quanto si può rilevare dall'ascolto dei QSO
nazionali, si notano almeno due diversi atteggiamenti nei confronti
del problema del prestigio della lingua o del dialetto.
Molti
operatori parlano l'italiano standard eliminando, per quanto
possibile e con successo non sempre evidente, le tracce fonetiche e
tonali del dialetto, rifacendosi a modelli spesso inattendibili ma
mostrando, comunque, di attribuire maggior prestigio alla comunità
linguistica nazionale che a quella locale.
Altri
accentuano volutamente l'appartenenza a una comunità linguistica
locale enfatizzando le tracce dialettali passate nel loro italiano standard,
o almeno facendo ben poco per attenuarle.
Tuttavia,
poiché la comunicazione linguistica deve essere univoca e deve
servire per scambiarsi messaggi non ambigui e facilmente
interpretabili, si notano a volte, durante lo stesso collegamento,
delle commutazioni di codice necessarie per adattare, di volta
in volta e malgrado le preferenze individuali, lo strumento
linguistico alle circostanze e agli interlocutori.
A
proposito di scelta della lingua o del dialetto, vale la pena di
ricordare che ogni locuzione, chiamata segno
linguistico, ha un significato,
che è il senso o il valore dell'espressione, e un significante
che nella comunicazione orale è l'effettiva manifestazione acustica
del messaggio, ed è piuttosto evidente che il significante, vale a
dire il modo in cui ci si esprime, contribuisce a fornire una
notevole quantità di informazioni sul parlante e sulle sue idee.
Tra
le risorse linguistiche disponibili, la
lingua nazionale deve essere necessariamente collocata al primo
posto, se si vuole evitare di essere relegati ai margini della vita
sociale del Paese. Tuttavia, ci sembra doveroso evidenziare, per
concludere e dopo aver richiamato
alla memoria Goldoni, Eduardo, Govi, Gadda, Belli, Camilleri e chissà
quanti altri, la straordinaria ricchezza espressiva dei dialetti che,
quando non sono gli unici strumenti di comunicazione verbale ma si
accompagnano a una buona padronanza della lingua standard
e magari anche alla conoscenza di una o più lingue straniere,
rappresentano un patrimonio che è dovere di tutti gli italiani
salvaguardare.
Note
1-”Dialetto”
in Treccani.it. www.treccani.it/enciclopedia/dialetto/
2-
André Martinet, Elementi di linguistica generale, Editori
Laterza, 1967, pag. 153.
3-
Ugo Vignuzzi, Aree linguistiche,
www.treccani.it/enciclopedia/aree-linguistiche_(Enciclopedia_dell'Italiano)/
4-
Giacomo Devoto, Stroria della lingua italiana, Rizzoli ed.,
1977, pag. 183.
5-
Ibid. pp. 185-196.
6-
André Martinet, op. cit., pag. 149.
Cf. Domenico Felaco IK6QGE, Zone
radioamatoriali e aree linguistiche, RR 4/13
|