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Domenico Felaco


La dizione nelle comunicazioni radioamatoriali

Cosa cambia se pronunciamo meglio la lingua italiana



Sulle frequenze radioamatoriali, in particolare sui quaranta metri, si possono ascoltare spesso lunghi QSO in cui si parla della qualità delle modulazioni, della scelta dei microfoni e dell'impostazione dei parametri sugli apparati e sulle apparecchiature esterne per ottenere risultati migliori.

Si parla anche, ma meno frequentemente, dei tratti distintivi delle voci, del tono, del timbro, del volume, dell'intensità, del colore ecc., ma si sente raramente fare qualche cenno alla dizione, vale a dire al modo in cui noi italiani, e in particolare noi radioamatori, pronunciamo le parole della nostra lingua.

Eppure, in un àmbito in cui si comunica prevalentemente parlando, l'argomento non dovrebbe essere considerato irrilevante e meriterebbe sicuramente un approfondimento.

È proprio per questo che esamineremo, qui di seguito, i principali aspetti della materia, sia per evidenziare gli errori in cui incorriamo più frequentemente, sia per esplorare i percorsi che potrebbero, eventualmente, portare a qualche miglioramento.


Perché curare la dizione


La lingua italiana è nata e si è diffusa come lingua scritta e cólta. Fino a poco meno di un secolo fa, cioè fino a prima della scolarizzazione generalizzata e della diffusione dei mezzi di comunicazione di massa, quelli che usavano l'italiano come lingua scritta e parlata erano una ristretta minoranza: tutti gli altri erano analfabeti o semianalfabeti e, quando parlavano, usavano i dialetti.

Ma anche all'interno di quella ristretta minoranza, in pochi, allontanandosi da Firenze e dalla Toscana, erano in grado di produrre messaggi verbali che non fossero pesantemente influenzati dal sistema dei fonemi e degli andamenti tonali locali.

La scolarizzazione diffusa ha in gran parte eliminato l'analfabetismo, ma, per quanto riguarda la lingua parlata, siamo ancora all'anarchia più completa.

Ognuno parla come può, ognuno usa i fonemi che sono più diffusi nella sua zona d'origine e le intonazioni a cui è più abituato, e questo vale anche per i radioamatori. Il nostro sistema scolastico, inoltre, non aiuta affatto, visto che, a parte le rarissime eccezioni delle scuole di recitazione e di dizione, a nessun livello dei vari corsi di studio si insegna come pronunciare correttamente le parole della lingua italiana.

Noi radioamatori, che nella stragrande maggioranza dei casi non siamo attori, cantanti d'opera, presentatori, politici, o avvocati, non dovremmo comunque considerarci estranei al problema, visto che comunichiamo utilizzando un mezzo che ci consente di far arrivare la nostra voce in tutto il mondo.

Non si tratta di esagerato perfezionismo: ciascuno di noi parla per essere ascoltato e per mantenere l'attenzione dell'uditorio su quello che dice. Contano, ovviamente, i contenuti e la correttezza formale delle espressioni che si usano, ma è piuttosto scontato che parlare senza infastidire con una pronuncia scorretta o con un andamento tonale anomalo può sicuramente contribuire a dare maggior forza alle argomentazioni che si propongono.


La trascrizione fonetica


Ma come mai è così diffusa l'incapacità di leggere e parlare correttamente la lingua italiana?

Dipende tutto dall'incompletezza dell'alfabeto che usiamo.

Ogni alfabeto è una raccolta di simboli grafici che servono per trascrivere la lingua parlata. Molto spesso, però, i simboli disponibili non sono sufficienti per rappresentare tutti i fonemi che si possono produrre in una determinata lingua e capita, com'è inevitabile, che un segno grafico rappresenti più fonemi diversi.

In inglese, per esempio, la trascrizione con l'alfabeto latino, cioè con “an old foreign alphabet” (1), che certamente non comprende i simboli necessari per rappresentare i fonemi specifici di quella lingua, ha comportato il disastro fonetico che tutti conosciamo.

Nella lingua italiana le cose vanno meglio: i maggiori problemi derivano dal fatto di non poter distinguere, nella forma scritta, tra è aperta e é chiusa e tra ò aperta e ó chiusa, e dall'uso di un solo simbolo per rappresentare la s sorda e quella sonora e ancora di un solo simbolo per rappresentare la z sorda e quella sonora.

Per ovviare a queste carenze, si possono usare vari alfabeti fonetici che prevedono l'uso di un maggior numero di simboli che servono, appunto, per eliminare le ambiguità.


Simboli per la trascrizione fonetica usati nel DOP


Esiste un alfabeto, noto come International Phonetic Alphabet (IPA), che è frutto del lungo lavoro della International Phonetic Association e che contiene tutti i simboli grafici che rappresentano tutti i fonemi che si possono usare in qualsiasi lingua del mondo.

L'Alfabeto Fonetico Internazionale è certamente il più preciso sistema di trascrizione fonetica esistente, è internazionalmente riconosciuto ed è usato in molti prestigiosi dizionari. Proprio per la sua completezza, però, è relativamente difficile da imparare ed è per questo motivo che noi, che abbiamo bisogno solamente di pochi nuovi simboli per cercare di migliorare la nostra pronuncia della lingua italiana, useremo un alfabeto fonetico più semplice ma, allo stesso tempo, sufficientemente preciso.

Fra gli alfabeti fonetici non IPA, “il più diffuso è il sistema denominato Ascoli-Merlo, dal nome dei linguisti che lo idearono e rielaborarono nel tempo [e che] è alla base delle trascrizioni fonetiche presenti (…) nel DOP (Dizionario di ortografia e di pronuncia)”, edito dalla RAI. (2)

Per le nostre necessità, basterà una versione semplificata del sistema usato nel DOP che contenga i dodici simboli che rappresentano i suoni che creano maggiori difficoltà a un lettore italiano.

Nella Figura 1, sono riportate in grassetto le parole e le lettere della lingua italiana, in corsivo le trascrizioni fonetiche, tra parentesi quadre quelle usate nel DOP e tra barre quelle dell'IPA.

Si potrebbero avere problemi anche con gl, gn, h, j, q, w, x, y e con le varie pronunce di altre consonanti, come t, n e r, ma non vogliamo appesantire troppo il discorso e, a meno che non si debbano trascrivere parole straniere, per le nostre esigenze nell'attività radioamatoriale sarà sufficiente modificare l'alfabeto italiano inserendo solamente i dodici simboli elencati nella Figura 1 e lasciando tutto il resto invariato.

Le consonanti sonore (dolci) si distinguono da quelle sorde (aspre) perché, durante la loro articolazione, si sente anche la vibrazione delle corde vocali. Appoggiando la mano sulla gola e pronunciando le coppie sorde-sonore [t]-[d], [p]-[b], [č]-[ǧ], [k]-[ġ], [s]-[ʃ], [z]-[ʒ], si percepisce facilmente quando le corde vocali vibrano e quando no.

In trascrizione fonetica, l'accento tonico deve essere indicato in tutte le parole di più di una sillaba. Per le e e le o l'accento sarà contemporaneamente anche fonico, cioè indicherà l'apertura e la chiusura di queste vocali.

L'alfabeto fonetico che useremo per le nostre trascrizioni sarà, in definitiva, il seguente:

a-b-č-k-d-è-é-f-ǧ-ġ-h-i-l-m-n-ò-ó-p-q-r-s-ʃ-t-u-v-z-ʒ


trascrizione

 Fig. 1


Andamento tonale


Abbiamo visto che la pronuncia delle parole della lingua italiana risente fortemente delle influenze regionali e locali, ma è l'andamento dei toni durante la produzione delle frasi a rivelare immediatamente la zona linguistica di provenienza di un parlante.

L'intonazione è faccenda ancor più complessa della produzione dei fonemi e, in questa sede, dovremo limitarci a consigliare l'ascolto di buone letture, per esempio quelle dei brani inseriti nella presentazione ”online” del DOP, o quelle disponibili sul sito collegato al corso di dizione cui faremo cenno in seguito, o anche quelle degli “audiolibri” proposti su YouTube, in modo da poter notare quali sono gli andamenti tonali più appropriati per le frasi assertive, per quelle interrogative, per gli ordini e così via.


Test autocritico


Una volta definito un alfabeto fonetico sufficientemente ampio e preciso e prima di metterne alla prova l'efficacia nella trascrizione di un esempio di QSO, sarà bene effettuare un test autocritico per controllare la correttezza della mia pronuncia di alcune centinaia di parole contenute in uno dei vari corsi di dizione reperibili nelle librerie. (3)

I risultati del test sono esposti nella tabella riportata in Figura 2, dalla quale si può rilevare che, nella mia pronuncia delle parole della lingua italiana, è evidente una discreta tendenza a pronunciare le e e le o come vocali aperte, una forte tendenza a pronunciare la s come consonante sorda e una certa propensione alla pronuncia della z come consonante sonora.


test

 Fig 2


Esempio di QSO in trascrizione fonetica DOP


Per completare il nostro breve discorso sulla dizione della lingua italiana nell'ambito dell'attività radioamatoriale, proponiamo, qui di seguito, un esempio di QSO trascritto con i simboli dell'alfabeto fonetico che abbiamo ampiamente illustrato.

Ogni parola dovrà essere letta controllando i simboli rappresentati nella Figura 1 e tenendo presente che tutti gli accenti hanno una funzione tonica o fonica precisa.


quésta frequènza è in ùʃo, pér favóre?

quésta frequènza è okkupàta?

či qù vénti či qù vénti či qù vénti

(sessànta, quarànta, dičassètte, quìndiči, dièči mètri)

quésta è la itàlia kìlo sèi kebèk gòlf èko

ké kiàma é (4) pàssa all'askólto


ġràzie pér avér rispósto àlla kiamàta

é buòn pomerìǧǧo

(buòn ǧórno, buòna séra, buòna nòtte)

mi kiàmo doméniko

é il mìo qu ti àkka è Pescàra

ričévo un buòn segnàle dàlla tùa stazióne

ti passerò un rappòrto dópo la tùa pròssima traʃmissióne

bène, il mikròfono a té


mólto bène, il tùo rappòrto è čìnque nòve più dièči

un buòn segnàle é ùna buòna modulazióne

ìo stò (4) uʃàndo un kènwud čìnque é novànta

é lanténna è un dipòlo

la potènza è di čènto vat

é il mikròfono è un kènwud èmme či ottànta


il tèmpo è bèllo quì (4)

(brùtto, čè il sóle, piòve, névika, čè vènto)

nón či sóno nùvole

é la temperatùra è di čìrka vénti ġràdi čentìġradi

(ʒèro, ùno, dùe, tré, quàttro, čìnque, sèi, sètte, òtto, nòve, dièči)

il mikròfono a té (4)


il segnàle rimàne stàbile sul nòve

é pòsso konfermàre la buòna qualità

délla tùa modulazióne

però alkùne interferènze distùrbano la tùa traʃmissióne

é quàlke vòlta è diffìčile kapìre le tùe paròle


bène, ti rinġràzio mólto pér quésto qu èsse ò

é spèro di riaskoltàrti nél futùro

ti manderò la mìa kartolìna qu èsse èlle vìa assočazióne

ġràzie ankóra é settànta tré. (5)


Quello proposto è solamente un esempio che serve a incuriosire e a incoraggiare un eventuale approfondimento della materia.

A questo punto, però, è indispensabile essere chiari: i corsi di dizione sono una cosa seria e impegnativa. Nessuno può immaginare di risolvere tutti i suoi problemi di pronuncia leggendo un articolo (o anche scrivendolo, come in questo caso) oppure sfogliando sporadicamente un dizionario.

Tuttavia, si può migliorare: già la consapevolezza del fatto che dire, per esempio, [ti ričèvo béne] non equivale a usare la forma appropriata [ti ričévo bène] dovrebbe incoraggiare a insistere con i controlli delle trascrizioni fonetiche e con gli esercizi.

Sta a noi, poi, valutare in quali casi è opportuno sforzarsi di adottare la pronuncia esatta e in quali altri, invece, il tentativo di ricalcare modelli corretti con risultati insicuri e variabili potrebbe apparire superficiale e velleitario.


NOTE


1- G,B,Shaw, Pygmalion, Penguin books, Preface, pag 5: “un vecchio alfabeto straniero”.

2- Cf. www.treccani.it/enciclopedia/alfabeto-fonetico

3- Nicoletta Ramorino, Corso di dizione, Giunti, Firenze, 2014. Letture: www.giunti.it/corso-dizione

4- In trascrizione fonetica, indichiamo con [è] aperta il verbo e con [é] chiusa la congiunzione. [quì], [stò] e [té] sono, ovviamente, le trascrizioni fonetiche di qui, sto e te.

5- Le pronunce sono tratte (e in parte adattate) principalmente dal DOP www.dizionario.rai.it, ma anche da www.treccani.it/vocabolario, da TheFreeDictionary.com e dal corso di dizione citato.

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