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Domenico Felaco

domenico.ikseiqge@tiscali.it


La precarietà nelle comunicazioni radioamatoriali

La sfida alle difficoltà e la soddisfazione per i successi




Il mezzo e il messaggio


Se qualcuno ci chiedesse di cosa parliamo noi radioamatori sulle nostre frequenze, potremmo cavarcela con qualche risposta generica e superficiale, che è quello che normalmente facciamo, oppure potremmo cogliere tutta la complessità della domanda, che coinvolge il senso stesso dell'attività radioamatoriale, e regolarci di conseguenza.

Si tratterebbe di provare a dipanare l'intricata materia dei “media”, dei messaggi, dell'interazione tra operatore e mezzo elettronico e di altre questioni dello stesso genere, che hanno risvolti teorici complessi ma che hanno anche evidenti effetti pratici di cui proveremo a occuparci qui di seguito.

Dunque, di che parliamo?

La normativa che definisce il servizio di radioamatore riserva solo un breve cenno alla “intercomunicazione”, cioè allo scambio di messaggi tra operatori, mentre enfatizza decisamente gli aspetti che coinvolgono il singolo radioamatore e le sue apparecchiature, come la “istruzione individuale”, lo “studio tecnico” e l'interesse per la “tecnica della radioelettricità”.

Considerando la scarsa rilevanza attribuita agli argomenti trattati durante i QSO, quindi, si sarebbe portati a pensare al servizio di radioamatore come a una pura attività di sperimentazione, senza fini pratici orientati alla comunicazione.

Questa percezione della situazione, però, è sicuramente fuorviante, perché il principio che nessun mezzo di comunicazione ha senso se non esiste un messaggio da inviare all'interlocutore deve, ovviamente, essere valido anche per i collegamenti tra stazioni radioamatoriali.

Se non si può parlare di pura attività di sperimentazione e se, d'altra parte, le caratteristiche del mezzo non consentono, come vedremo, di pensare all'attività radioamatoriale come a un efficiente modo per comunicare, devono esistere altri aspetti che creano un interesse così diffuso per la nostra attività.

Proveremo a esaminarli, questi aspetti, evidenziando, in particolare, l'influenza della precarietà sui comportamenti dei radioamatori.


La “legge del minimo sforzo”


L'essere umano tende a ottenere i migliori risultati possibili, rispetto a un obiettivo predeterminato, col minimo dispendio di energia fisica e mentale. Anche nella comunicazione verbale si è portati, normalmente, a trasmettere all'interlocutore la maggiore quantità di informazioni con l'uso del minor numero di unità linguistiche. (1)

Quando la comunicazione avviene a distanza, con l'impiego di strumenti tecnologici più o meno sofisticati, affinché la “legge del minimo sforzo” possa restare valida, è indispensabile che il contatto tra gli interlocutori risulti stabile e costante.

Questo discorso sull'equilibrio tra energia usata e informazioni trasmesse ci consente di notare che, paradossalmente, nelle comunicazioni tra radioamatori, gli operatori devono spesso accontentarsi di trasmettere e ricevere una quantità minima di informazioni – a volte il solo nominativo e un 59 raramente attendibile - col massimo sforzo tecnologico, fisico e mentale.

La situazione è irragionevole, sul piano della comunicazione, ma è perfettamente comprensibile se si considerano le condizioni precarie che influenzano i contatti tra radioamatori. Gran parte dell'energia degli operatori, infatti, è spesa proprio per minimizzare gli inconvenienti derivanti dalla scadente qualità dei collegamenti, che non sono quasi mai “stabili e costanti” come sarebbe auspicabile e che non consentono, normalmente, lo scambio di una quantità di informazioni proporzionata all'impegno profuso.


Le variabili nei collegamenti tra radioamatori


La possibilità di realizzare un efficace collegamento tra stazioni radioamatoriali dipende da fattori che possono essere influenzati dall'operatore (apparati, antenne, potenza, capacità operative, competenze linguistiche ecc.) e da condizioni su cui il radioamatore può intervenire solo marginalmente (propagazione, rumori atmosferici, interferenze, competizione con altri radioamatori, ecc.).

L'esistenza di così tante variabili, alcune delle quali difficilmente controllabili, rende ogni contatto tra stazioni radioamatoriali precario e cioè “incerto, non sicuro, (...) soggetto a subire, da un momento all’altro, un cambiamento, un peggioramento...” (2).

Stando così le cose, è lecito chiedersi come mai più di due milioni di operatori in tutto il mondo continuano a cercare di comunicare tra di loro utilizzando un mezzo che è impegnativo sul piano economico, su quello fisico e su quello mentale ma che, allo stesso tempo, è decisamente poco efficiente per quanto riguarda la certezza dei collegamenti e la comprensibilità dei messaggi.

È opinione diffusa, a questo proposito, che l'incongruenza dipende dal fatto che il fine principale dell'attività radioamatoriale – e qui torniamo al punto che c'interessa - non è tanto quello di “comunicare” con gli interlocutori, quanto quello di mettere alla prova l'efficacia delle soluzioni creative studiate, progettate e realizzate per superare le “incerte e non sicure” condizioni dei collegamenti. A riprova di quanto appena sostenuto, c'è tutto il complesso sistema di diplomi, contest (concorsi, gare), attivazioni, spedizioni e pile up che consentono, fondamentalmente, a ciascun operatore di competere con gli altri per dimostrare di essere più bravo, di aver adottato soluzioni creative più vantaggiose e di meritare una posizione di rilievo nella mutevole gerarchia che è in continua ridefinizione nella comunità dei radioamatori.


La simbiosi tra operatore e apparecchiature


Molti radioamatori, dunque, considerano preminenti, rispetto a tutto il resto, i livelli di soddisfazione o d'insoddisfazione che ricavano dalla messa a punto delle loro apparecchiature. (3)

In effetti, la relazione tra mezzo, operatore e comunità in cui la comunicazione si svolge modifica certi aspetti della personalità del radioamatore che, proprio per questo, difficilmente riesce a sottrarsi al desidero di dimostrare di essere stato bravo ad allestire la sua stazione, di avere segnali forti e modulazioni chiare e di essere in grado di proporre e sviluppare argomenti capaci di suscitare l'interesse degli interlocutori.

Il “medium”, infatti, esercita la sua influenza sia sui messaggi, determinando il linguaggio da usare, il numero di parole, il registro linguistico, i codici specifici e così via, sia sugli interlocutori, perché ne condiziona i comportamenti, le aspettative e, più in generale, il modo di pensare. (4)

Così, non è difficile accettare l'idea che, quando un radioamatore accende il suo ricetrasmettitore, indossa le cuffie e collega il microfono, aggiunge, in definitiva, un'estensione elettronica al suo sistema nervoso e assume l'atteggiamento mentale necessario per gestire la nuova situazione. (5)

L'insieme delle caratteristiche dell'operatore e di quelle dell'estensione elettronica del suo sistema nervoso, costituito dalle apparecchiature radioamatoriali, forma l'entità che può comunicare con altre entità simili, in tutto il mondo, nelle condizioni di precarietà di cui s'è parlato.

In queste contesto, i messaggi scambiati con gli interlocutori tendono a seguire schemi precostituiti, ripetitivi e prevedibili, mentre le vere conversazioni sono generalmente limitate a specifiche bande, sia per questioni di carattere linguistico, sia per una meno accentuata instabilità dei contatti.


Recuperare l'importanza dei messaggi


Si è visto che la gestione del mezzo impegna gran parte delle energie dei radioamatori, sulla qual cosa ci sarebbe poco da obiettare, a patto di essere consapevoli del fatto che “spinto oltre un certo limite, l'uomo diventa creatura della propria macchina”. (6)

Sarebbe bene adoperarsi per non superare quel “certo limite” e provare ad affrancarsi, almeno in parte, dalla fascinazione dovuta al mezzo, cercando di ricordare che, nella maggior parte dei collegamenti radioamatoriali, si parla e parlando si trasmettono, inevitabilmente, delle informazioni agli interlocutori. (7)

Dovremmo, forse, cercare di recuperare la capacità critica necessaria per restituire il giusto peso ai contenuti dei messaggi, perché, a voler essere sinceri, lo studio, la sperimentazione e l'interesse per la tecnica della radioelettricità sono sicuramente aspetti fondamentali della nostra attività, ma sarebbe certamente una colpa grave non cogliere l'opportunità che la radio ci offre, malgrado tutte le limitazioni dovute alla precarietà dei collegamenti, di sfruttare la potenza della lingua, specialmente di quella parlata, per conoscere gli interlocutori, per sapere cosa pensano, come parlano, come vivono, quali sono i loro schemi culturali e qual è la loro visione del mondo.


Note


1- André Martinet, Elementi di linguistica generale, Editori Laterza, pag. 171: “(…) l'uomo consuma energia solo nei limiti necessari a raggiungere i fini che si è proposto”.

2- www.treaccani.it: “precario”.

3- Marshall McLuhan, Bruce R. Powers, Il Villaggio Globale, Sugarco Edizioni, pag. 27: “(…) ogni artefatto umano è un mezzo di comunicazione il cui messaggio può essere definito come la totalità delle soddisfazioni e insoddisfazioni che genera (...)”.

4- Ibid., pag. 24: “Il medium è il messaggio”.

5- Ibid., pag. 97: “Tutti gli artefatti umani (…) sono estensioni del corpo umano”.

6- Ibid., pag. 21

7- André Martinet, op. cit., pag. 14: “la funzione essenziale di quegli strumenti che sono le lingue è quella della comunicazione”.


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