Domenico
Felaco IK6QGE
Problemi
di pronuncia
nei
collegamenti internazionali
Influenza
della lingua madre sulla pronuncia della lingua inglese parlata dai
radioamatori
Come
tutti i radioamatori sanno, il rapporto RS che si passa
all'interlocutore all'inizio di ogni collegamento in fonia fornisce
informazioni importanti sulla comprensibilità (R
per readability) della trasmissione e sull'intensità
(S per strength)
del segnale.
Il
secondo parametro, che è semplicemente rilevato dalla lettura degli
s-meter, non si presta a particolari interpretazioni arbitrarie e può
essere falsato solamente dalla taratura imprecisa degli strumenti o
dall'errata valutazione di eventuali interferenze e rumori di fondo.
Il
rapporto sulla comprensibilità, invece, è decisamente soggettivo ed
è influenzato, oltre che dalla qualità della trasmissione, anche
dalle competenze linguistiche degli
interlocutori.
Infatti,
quando i radioamatori che sono in QSO parlano la stessa lingua
possono colmare le eventuali lacune presenti nei messaggi, a causa di
interferenze o disturbi vari, sfruttando le competenze linguistiche
che consentono di cogliere il senso generale di una frase anche se
alcune parole, spesso ridondanti, vanno perse.
Quando,
invece, gli interlocutori appartengono a comunità linguistiche
diverse e comunicano usando la lingua franca dei radioamatori
(inglese semplificato e modificato), il processo di ricostruzione dei
messaggi incompleti o disturbati è più difficoltoso, anche perché
chi trasmette risente inevitabilmente dell'influenza che il sistema
fonemico nativo esercita sulla pronuncia della lingua straniera.
In
questa sede ci occuperemo proprio di come il sistema dei fonemi della
prima lingua può condizionare la pronuncia di una lingua straniera
fino a rendere irriconoscibili parti più o meno ampie dei messaggi
prodotti durante un QSO, riducendo, così, indipendentemente
dall'intensità del segnale e dalla qualità della modulazione, la
comprensibilità (readability) dell'intera trasmissione.
Il
sistema fonemico
Ogni
lingua serve per trasmettere dei messaggi verbali costruiti
combinando in vari modi i suoni prodotti dall'apparato fonatorio,
cioè dagli organi che usiamo
per
parlare. Questi suoni, quando sono unità minime contrastive che permettono di
distinguere
una parola da un'altra, si chiamano fonemi.
Quando,
da piccoli, impariamo a parlare, ci abituiamo a produrre i suoni che
ci vengono trasmessi da chi ci sta attorno e che, nel loro insieme,
costituiscono il sistema di fonemi o sistema fonemico
della nostra lingua.
L'uso
quotidiano di questi particolari fonemi condiziona la gestione del
nostro apparato fonatorio cosicché,
in seguito, può risultare molto difficile, se non addirittura
impossibile, articolare correttamente i suoni presenti in altre
lingue ma estranei al nostro sistema fonemico.
I
linguisti dell'International phonetic association (IPA), che
hanno creato i simboli necessari per trascrivere i suoni di qualsiasi
lingua, si sono preoccupati di inserire nel loro volumetto
divulgativo (1) i simboli specifici di 51 lingue indicando anche il
modo e il luogo di articolazione per ciascuno di essi.
Naturalmente,
l'illustrazione dell'elenco completo dei fonemi specifici presenti in
ciascuna lingua comporterebbe un enorme lavoro descrittivo che
sarebbe sicuramente eccessivo, e anche decisamente noioso, in
questa sede.
Noi
ci limiteremo, qui, a proporre alcuni
esempi dell'influenza
che i suoni specifici delle principali lingue europee (italiano,
francese, spagnolo
e tedesco) possono esercitare sulla comprensibilità dei messaggi
trasmessi nella lingua
franca dei radioamatori
che, com'è noto, è ampiamente basata sull'inglese.
Italiano/inglese
L'IPA evidenzia che nella lingua
italiana le consonanti t
e d
sono dentali, mentre in inglese sono alveolari. Un italiano avrà,
quindi, qualche difficoltà a pronunciare correttamente, per esempio,
il numero due, two,
come [tu:], poggiando la lingua sugli alveoli durante la pronuncia
della t,
e tenderà a usare la pronuncia dentale a cui è abituato, simile a
quella del pronome tu [t̪u:].
In
italiano, il gruppo gn si pronuncia [ɲ] come in gnomo,
mentre in inglese lo stesso gruppo si pronuncia [n] come in sign [sain] o articolando
separatamente [g] e [n] come in magnificent
[mægˈnifisənt]. Così, c'è qualche possibilità che un italiano
sia portato a pronunciare signal come ['siɲal] invece che
come ['signal].
Nella
lingua italiana non esistono i suoni affricati [θ]
e [ð], come in think
[θiŋk] e that [ðæt]
che un italiano tenderà, quindi, a pronunciare [tink] e [dæt].
Noi
italiani pronunciamo il gruppo cc
come [kk], per esempio in occupato
[okku'pato], o [tʃtʃ],
come in acceso
[at'tʃeso]. In inglese il gruppo si pronuncia spesso [ks], cosicché un
italiano avrà qualche difficoltà a pronunciare accessory
come [əkˈsɛsəri].
Il
sistema vocalico italiano presenta sette vocali (a, e, ɛ, i, o, ɔ,
u), anche se i simboli usati nella lingua scritta sono solo cinque
(a, e, i, o, u). Nella lingua inglese si usa, invece, un numero più
ampio di suoni vocalici a cui gli italiani non sono abituati e che
quindi pronunciano con difficoltà. Si pensi, per esempio alla vocale
intermedia tra [a] e [e] di bat [bæt] o alla vocale
intermedia tra [a] e [o] di cup [kʌp].
Il
suono vocalico indistinto [ə],
chiamato schwa, che è tra i più diffusi nella lingua inglese, non è
presente nella nostra lingua e può creare qualche problema
specialmente agli italiani del settentrione che saranno propensi a
pronunciarlo [e] dicendo, per esempio, [ðe] invece di [ðə]. Gli
italiani delle regioni meridionali (tranne la Sicilia e la Calabria
meridionale) saranno, invece, agevolati dalla presenza del fonema [ə]
nei loro dialetti (es.:
['panə], ['vinə]).
Francese/inglese
Nei
QSO internazionali in cui uno degli interlocutori è francese, per
esempio sulla zona bassa della banda dei 20 metri, si nota, innanzi
tutto, la tendenza dei radioamatori d'oltralpe a trasferire nella
lingua inglese la loro pronuncia uvulare della r, cosicché è
possibile ascoltare l'espressione QRZ pronunciata come
[kjuaʁ'zɛd].
Per
i colleghi francesi sembra inevitabile, poi, conservare anche in
altre lingue le loro vocali nasali ɑ̃, ɛ̃, ɔ̃ e œ̃. Può
capitare, così, di sentire un francese pronunciare, facendo lo
spelling, november come [nɔvɑ̃bʀ] invece che come [nəuˈvɛmbə],
oppure [tɑ̃go] invece di [ˈtæŋgəu].
Anche
la u protrusa [y] lascia il segno, tanto che si sente spesso
pronunciare put come [pyt] invece di [put].
Il
gruppo gn
si pronuncia [ɲ] come in italiano, pronuncia che molti
francesi tendono a conservare anche in inglese, aggiungendo lo
spostamento dell'accento tonico sull'ultima sillaba, tanto che
['signal] diventa [si'ɲal].
Spagnolo/inglese
Nella
lingua spagnola il simbolo c
si può pronunciare [k],
[tʃ]
oppure [θ]
e anche
la z
si pronuncia [θ] per cui i colleghi iberici sono abituati ad
articolare questo suono e non hanno difficoltà a usarlo nelle parole
inglesi che lo contengono e anche, a volte, in parole che
prevederebbero l'uso di fonemi diversi. Tutti abbiamo sentito i
radioamatori spagnoli passare rapporti di ['θiŋko i nu'eβe] così
come, spesso, li abbiamo sentiti dire [pa'θifik ˈɛəriə] invece
di [pəˈsifik ˈɛəriə].
In
spagnolo, la b all'interno di parola è pronunciata come
bilabiale fricativa β (simile a una v bilabiale invece che
labiodentale), come in saber [sa'βeɾ],
ed è il suono che probabilmente lascia una traccia più
persistente nella pronuncia delle lingue straniere. Nello spelling,
per esempio, un radioamatore spagnolo tende a pronunciare Quebec
come [ke'βek] invece che
come [kwi'bec].
Altri
suoni che tendono ad essere conservati anche in inglese sono quello
velare sordo [x] di jamòn [xa'mon] e quello velare sonoro [ɣ]
di luego [lw'eɣo],
che possiamo ritrovare impropriamente in alcune parole inglesi come,
per esempio, in ['xu:liet] invece di ['dʒu:liət].
Tedesco/inglese
L'origine
germanica del sassone, che è la componente più corposa della lingua
inglese, agevola, naturalmente, i colleghi tedeschi quando si tratta
di condurre dei QSO usando la lingua franca dei radioamatori.
Tuttavia,
anche il tedesco ha un sistema fonemico proprio che tende a lasciare
qualche traccia nei collegamenti internazionali in lingua inglese.
I
tedeschi, per esempio, sono abituati a pronunciare la w come
[v], vedi ['vɑsɐ] per Wasser. Questo comporta una certa
tendenza a pronunciare parole inglesi che cominciano con w
come se cominciassero con v, per esempio in [ˈvɛðə] invece
di [ˈwɛðə].
Molto
più persistente nella pronuncia delle lingue straniere è la
sequenza [kv] per qu. Non è improbabile sentire un tedesco
pronunciare, nello spelling, la parola Quebec come [kvi'bec]
invece di [kwi'bec].
Anche
l'attacco duro glottidale [ʔ], che i tedeschi inseriscono prima di una
sillaba che inizia con una vocale
pronunciando,
per esempio, eins come ['ʔains], è frequentemente trasferito
nella pronuncia della lingua inglese. È probabile, per esempio, che
un tedesco pronunci eight come [ʔeit] invece di [eit].
Inglese/altre
lingue
I
colleghi britannici che devono inserire qualche parola italiana nel
corso di un QSO si scusano, a volte, per la pronuncia approssimativa
sostenendo che il fatto di poter usare l'inglese per comunicare con
radioamatori appartenenti a qualsiasi comunità linguistica
non li incoraggia a studiare le lingue straniere.
Questo
è sicuramente vero, ma è altrettanto vero che il sistema dei fonemi
della lingua inglese è così peculiare che eserciterebbe comunque
una fortissima influenza sulla pronuncia di altre lingue anche dopo
anni di studio e di pratica.
Tanto
per citare un esempio, basti qui ricordare che in inglese la o
in fine di parola dittonga in [əu] e che questo fenomeno è assolutamente
invasivo, tanto che è
praticamente generalizzata la pronuncia
del mio nome, Domenico,
come [də'menikəu]
invece di [do'meniko].
Conlusioni
Naturalmente,
tutto quanto detto sopra non si applica a coloro che dispongono di un
solido bilinguismo acquisito per motivi di famiglia o tramite
lo studio e la frequentazione di ambienti anglofoni.
Inoltre,
non si deve assolutamente vedere in queste note un seppur minimo
intento critico nei confronti dei radioamatori la cui pronuncia della
lingua inglese è in qualche modo influenzata dai fonemi acquisiti
con la lingua madre.
Infatti,
quelli di cui ci siamo occupati sono fenomeni ben noti ai linguisti
che parlano dell'interferenza linguistica o interferenza L1
come dell'effetto della lingua madre sulla produzione di una
seconda lingua.
È
del tutto scontato, insomma, che “... nell'apprendere una nuova
lingua l'individuo si trova già condizionato dal sistema di
abitudini contratte nella sua lingua madre che agiscono costantemente
da barriera ad un nuovo apprendimento, creando continue interferenze.”
(2)
Sull'argomento,
André Martinet aggiunge: “Ci sono in realtà soltanto pochi
virtuosi che riescono a maneggiare due o più lingue senza che si
producano mai nel loro parlare i fenomeni che si designano come interferenza linguistica.”
(3)
Naturalmente,
la nostra particolare attenzione alle influenze reciproche tra i vari
sistemi di fonemi è dovuta all'interesse di tutti noi radioamatori
per le trasmissioni radio in fonia. Va notato, tuttavia, che
le interferenze linguistiche
non si limitano ai fonemi ma riguardano anche la grammatica, il
lessico e l'ortografia.
Un
discorso a parte, che però non affronteremo in questa sede,
meriterebbe il fenomeno della persistenza nell'inglese parlato dai
radioamatori dell'andamento tonale nativo tipico non solamente
di ogni lingua ma addirittura diversificato a seconda delle zone,
della categorie sociali o del livello d'istruzione di chi la parla.
È
appena il caso di notare,
per concludere, che i QSO tra radioamatori appartenenti a comunità
linguistiche diverse possono essere vere e proprie conversazioni
sugli argomenti più disparati ma possono anche limitarsi alla
trasmissione dei convenevoli, dei nomi, dei nominativi e dei
rapporti. C'è spazio, insomma, per ogni competenza linguistica ed è
certo che qualsiasi
radioamatore, di qualsiasi parte del mondo, può capirmi
perfettamente se dico, per esempio, [teŋk
ju: ˈveri matʃ foː
ˈaːnseriŋ de koːl] invece di [θæŋk ju: ˈvɛri mʌtʃ fɔː
ˈaːnsəriŋ ðə kɔːl].
Note
1-
The Principles of the International Phonetic Association, Department
of Phonetics, University College, London, 1949.
2-
Wanda d'Addario Colosimo, Lingua straniera e comunicazione,
Zanichelli, 1974.
3-
André Martinet, Elementi di linguistica generale, Editori Laterza,
1967.
Cf. Domenico Felaco IK6QGE, È permesso suggerire, anche in
inglese, RR 9/12
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