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Domenico Felaco IK6QGE

domenico.ikseiqge@tiscali.it


La radio a colori

Le varianti linguistiche usate nei QSO



I radioamatori e le figure retoriche


Nessuna lingua può essere considerata stabile, definitiva e immutabile. Perfino la lingua che si studia a scuola e di cui si descrivono accuratamente le caratteristiche fonetiche, lessicali e morfologiche (“langue”), ha un'esistenza limitata nel tempo e nello spazio ed è continuamente modificata dalle varianti introdotte da tutti coloro che realmente la usano per comunicare (“parole”). (1)

Partendo da questi presupposti, prenderemo in considerazione alcune delle locuzioni particolari usate dai radioamatori durante i QSO, provando a rintracciarne le origini e gli sviluppi ed escludendo, come vedremo, qualsiasi intenzione critica.

Possiamo cominciare, per introdurre il ragionamento che qui c'interessa, con l'esame dello strano caso dell'entusiastico rapporto che molti operatori passano all'interlocutore usando l'espressione “ti ricevo a colori”.

Naturalmente, nei collegamenti in fonia il messaggio ricevuto non ha niente a che vedere coi colori e il rapporto appare particolarmente favorevole solamente perché è espresso usando la figura retorica chiamata “sinestesìa”, che descrive la percezione di un organo dei sensi che non è direttamente coinvolto nell'interpretazione del fatto o dell'evento di cui ci si occupa.

Poiché il senso di una figura retorica può essere pienamente compreso solamente se gli interlocutori condividono la lingua, gli schemi culturali e, in particolare, le esperienze, appare plausibile ipotizzare che, nel caso in esame, tali esperienze possano riguardare principalmente il passaggio dalle trasmissioni televisive in bianco e nero a quelle a colori (in Italia nel 1977) e la conseguente percezione del colore come deciso miglioramento della qualità del messaggio. 


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I radioamatori si avvalgono spesso dell'efficacia e dell'immediatezza delle figure retoriche che, con espressioni spesso al limite della correttezza formale e della coerenza logica, aiutano a comunicare, con poche parole, concetti anche molto complessi.

Ricordiamo, qui di seguito, i nomi delle principali figure retoriche accostandoli a esempi tratti dalle conversazioni radioamatoriali.

  • La sinestesìa: “ti ricevo a colori”, cioè, “se potessi vedere la tua trasmissione, sarebbe a colori e non in bianco e nero”;

  • la metàfora : “sei una bomba, sei una bombarda”, vale a dire “arrivi tanto forte quanto il rumore di una bomba o di una bombarda”;

  • l'eufemismo: “il mio vecchio apparato è passato a miglior vita”, che tende a minimizzare il fatto grave che l'apparato non funziona più;

  • l'onomatopèa: “la tua trasmissione sibila, sfrigola, fischia”, dove i suoni delle parole ricordano l'evento che descrivono;

  • l'ossìmoro o ossimòro: “uso un modesto amplificatore da 1000 watt”, dove i mille watt di cui si parla non sono affatto una potenza modesta nell'ambito radioamatoriale;

  • la litòte: “il tuo segnale non è fortissimo”, in cui si nega il contrario di quello che realmente si vorrebbe dire, minimizzando la critica a un segnale debole;

  • l'ipèrbole: “non ci sentiamo da un secolo”, esagerazione per dire che non ci sentiamo da molto tempo;

  • la perìfrasi: “quelli che parlano su queste frequenze”, cioè i radioamatori;

  • la sinèddoche: “noi comuni mortali non possiamo usare più di 500 watt”, dove non si intendono tutti i mortali ma solamente i radioamatori;

  • la preterizióne: “non voglio annoiarvi parlandovi dell'ottimo ricevitore e della magnifica modulazione del ricetrasmettitore XXX”, ricetrasmettitore di cui dico di non voler parlare, ma che intanto cito lodandone le caratteristiche;

  • l'antonomàsia: “sei proprio un Einstein”, cioè, ne sai proprio tante.


Le figure retoriche in inglese: “figures of speech”

Le figure retoriche, che esistono in tutte le lingue, in inglese e nella sua variante specialistica radioamatoriale, che qui c'interessa, si chiamano “figures of speech”. Per quanto detto sopra, un parlante non nativo che provasse a tradurre alla lettera queste particolari locuzioni per interpretarne il senso, non avrebbe, ovviamente, alcuna possibilità di successo.

A questo proposito, la storiella delle “palle del topo”, raccontata da Umberto Eco su un numero dell'Espresso del luglio 1999, può rappresentare un esempio spiritoso e, nello stesso tempo, significativo.

Pare che l'IBM avesse messo in circolazione una raccomandazione sulla manutenzione dei mouse per i computer divulgando un testo che nella versione italiana suonava così:

... Prima di procedere [alla sostituzione], determinate di che tipo di palle ha bisogno il vostro topo. Per fare ciò basta esaminare la sua parte inferiore. Le palle dei topi americani sono normalmente più grandi e più dure di quelle dei topi d'oltreoceano...”.

Anche chi è abituato ai controlli a infrarossi o a quelli a laser ricorderà che, qualche anno fa, i movimenti del puntatore sullo schermo dipendevano da quelli di una pallina di gomma inserita sotto il mouse. L'equivoco, che rende la storiella grossolana ma divertente, nasce dalla traduzione di “mouse” con “topo” e dall'attribuzione di un'accezione anatomica piuttosto che meccanica al termine “balls”.

Se basta il significato attribuito a un paio di parole in un contesto insolito per causare il fraintendimento illustrato nell'esempio proposto, si può facilmente immaginare quali gravi difficoltà possono sorgere quando si usano le figure retoriche, la cui interpretazione, come s'è visto, è possibile solamente se gli interlocutori condividono lo stesso schema culturale.

Quando tale condivisione non esiste o non è sufficientemente approfondita, si deve necessariamente procedere documentandosi accuratamente, di volta in volta, per cercare di capire cosa intendono dire i colleghi anglofoni quando trasmettono frasi del tipo “It's raining cats and dogs, here” o “a BBC radio quality” oppure “broadcasting quality” ecc.


Altre varianti linguistiche introdotte durante i QSO


Per quanto ampiamente utilizzate, le figure retoriche non sono le uniche varianti linguistiche introdotte dai radioamatori durante i QSO.

Sappiamo che “le lingue si modificano senza mai, per questo, cessare di funzionare” (2) e sappiamo anche, dall'ascolto sulle frequenze radioamatoriali, che l'evoluzione di quelle parlate dai radioamatori è influenzata, tra l'altro, dalla personalità degli interlocutori, dal mezzo, dalle interferenze tra i vari idiomi usati, dalle numerose forme brevi inserite nei messaggi e, per tornare all'aspetto che più c'interessa, dall'originalità e dall'immediatezza comunicativa di eventuali nuove espressioni.

Posto di fronte a locuzioni che presentano delle anomalie morfologiche o lessicali, l'ascoltatore oppone una qualche forma di resistenza che, ovviamente, è tanto più forte quanto più solide sono le strutture linguistiche in suo possesso. Tale resistenza, però, tende ad attenuarsi con l'uso frequente e reiterato delle nuove varianti, fino a trasformarsi nell'accettazione di quanto inizialmente sembrava insopportabile. Si pensi, per fare un esempio al di fuori dell'ambito radioamatoriale, ai diffusissimi cartelli con la scritta “vendesi appartamenti”, vale a dire “si vende appartamenti” (sic!), che risultano decisamente intollerabili fino a quando, col tempo e con la diffusione crescente, finiscono per entrare nell'uso comune.

Per chiarire meglio l'argomento che stiamo trattando, proponiamo, qui di seguito, alcuni esempi di locuzioni anomale usate nei QSO cercando, quando è possibile, di evidenziarne anche l'origine e l'evoluzione.


- OTTIMAMENTE BENE. Molti radioamatori non trovano soddisfacente dire “ti ricevo bene” o “ti ricevo ottimamente” ma preferiscono usare un'espressione ridondante e grammaticalmente discutibile come “ti ricevo ottimamente bene”. Siccome nessuno dice “ti ricevo pessimamente male”, sembra lecito supporre che l'origine della locuzione sia da ricercare nella volontà di enfatizzare il rapporto positivo che si passa all'interlocutore.

- BALUN E BALUM. Il termine “balun” è un acronimo da “balanced-unbalanced”. Quella “n” davanti alla “b”, però, disturba parecchio un parlante italiano (cosa che capita anche con la parola inglese “input”) che è quindi portato a ipotizzare l'inesistente “umbalanced” e quindi “balum”.

- LO SKIP. L'evoluzione linguistica comporta che nella competizione tra due parole, quella usata più frequentemente tenda gradualmente a sostituire l'altra. Nelle lingue parlate dai radioamatori, il termine “skip” (salto, balzo) indica la distanza percorsa dalla radiazione a ogni riflessione sulla ionosfera; tuttavia, un gran numero di trasmissioni televisive sulle regate nautiche ha dato, negli ultimi tempi, maggiore diffusione al termine “skipper”, che è invece il comandante di un'imbarcazione. Si spiega probabilmente così lo scambio tra i due termini e l'uso di espressioni del tipo “lo skipper di propagazione è lungo”.

- (TO) SPLATTER, SBLATTERARE. Molti radioamatori sembrano restii a usare la parola inglese “splatter” (schizzare, spruzzare, spalmare, ma anche disturbare su frequenze vicine) e preferiscono italianizzare in “sblatterare” che, forse per via della somiglianza con “blaterare”, comunica l'idea di un modo di parlare incomprensibile, proprio come capita con uno “splatter”.

- PAROLE INGLESI AL PLURALE. È noto che i termini stranieri, nel contesto di un'espressione in lingua italiana, devono restare invariati al singolare e al plurale. Questa regola, però, tende a vacillare, probabilmente a causa della sempre più ampia diffusione della lingua inglese e delle sue norme. Può capitare, così, di sentire, durante i QSO, espressioni del tipo “alcuni splatters disturbano la tua trasmissione“.

- L'ARTICOLO DETERMINATIVO. L'uso dell'articolo determinativo con i nomi non è poi così corretto in lingua italiana: è accettato, ma denuncia un forte localismo, coi nomi femminili (la Giovanna, la Maria), è ammesso coi cognomi di donne note (la Montalcini, la Loren), a volte coi soprannomi (il Lenzetta, il Piattoletta, il Riccetto), meno frequentemente coi cognomi di uomini famosi (il Manzoni, il Pirandello), ma è sentito, in genere, come scorretto coi nomi maschili (il Domenico, il Mario, il Giovanni). L'abitudine di molti radioamatori di largheggiare nell'uso dell'articolo può essere, forse, ricondotta all'intenzione di attribuire maggior prestigio al collega che nominano.

- PIUTTOSTO CHE. “Piuttosto che” significa “anziché” e il suo uso comporta sempre una scelta. “Piuttosto che (anziché) usare un amplificatore, preferisco installare una buona antenna” è una frase corretta, mentre non lo è una del tipo “in quel mercatino si potevano trovare delle antenne verticali piuttosto che (oppure, oltre che) delle direttive piuttosto che (oppure, oltre che) delle filari.” Anche in questo caso, la pericolosa innovazione linguistica (si pensi ai possibili fraintendimenti nei contratti, nei testamenti ecc.) ha origine in ambito locale e tende a diffondersi non solo nelle trasmissioni radioamatoriali, ma anche attraverso altri mezzi di comunicazione.

- IL BUON DOMENICO. Espressioni del tipo “il microfono al buon Domenico”, usate frequentemente nei QSO, suscitano qualche perplessità perché quel “buon”, in un'ampia casistica letteraria, è sinonimo di “sempliciotto, ingenuo, sprovveduto”; inoltre, l'espressione “buon uomo” era usata, nei secoli scorsi, per rivolgersi a persone considerate di ceto sociale inferiore.

- ORDINI MASCHERATI DA INVITI. “Mi dirai il nome, il QTH, ecc.”. I radioamatori evitano di usare, durante i QSO, toni perentori. Tuttavia, anche un futuro può assumere il senso categorico di un imperativo, e a qualcuno la cosa può sembrare inopportuna.

- L'ETÀ. Nell'ambiente radioamatoriale, l'età avanzata non è un disvalore, tanto che non è raro sentire qualcuno dire orgogliosamente che ha più di novant'anni e ancora trasmette quotidianamente. Inoltre, qualche operatore particolarmente arguto ha trovato il modo di aggiungere ironia e simpatia alle espressioni relative all'età definendosi “un giovane radioamatore d'epoca” oppure “diversamente giovane”.


Codice di comportamento


Il rigido codice di comportamento non scritto, a cui i radioamatori normalmente si attengono, consente di criticare, anche aspramente, le inesattezze tecniche diffuse sulle frequenze radioamatoriali, ma non di evidenziare o correggere gli errori linguistici degli interlocutori.

Insomma, tra i radioamatori, sia nei QSO nazionali sia in quelli internazionali,

conta di più quello che si dice piuttosto che come lo si dice. È possibile che questa diffusa tolleranza linguistica sia dovuta al fatto che le onde elettromagnetiche non si fermano davanti ai confini nazionali o alle aree linguistiche, per cui, purché si riesca a capirsi, ogni strumento di comunicazione, per quanto approssimativo, può andar bene.

Detto questo, quindi, dovrebbe risultare ancora più evidente il fatto che le note sopra esposte hanno il carattere di osservazioni tecniche sul modo in cui i radioamatori modificano, attraverso l'uso, le lingue che parlano nei loro QSO.

In fondo, fatte le debite proporzioni, si tratta degli stessi processi che, partendo dal latino, hanno reso disponibile la lingua che è stata usata per scrivere quest'articolo. Resta confermata, in definitiva, l'opinione sostenuta da molti linguisti secondo cui, in presenza di varianti diffuse e persistenti che risultano inizialmente insopportabili per le anomalie che contengono, si deve resistere finché si può, ma, alla fine, occorre prendere atto della nuova situazione e adeguarsi.


NOTE

1- F. de Saussure, in Waterman, Breve storia della linguistica, La Nuova Italia, pag, 75.

2- André Martinet, Elementi di linguistica generale, Editori Laterza, pag. 33.


Cf. RadioRivista 5-2015

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